Roma O Morte by Simon Scarrow

Roma O Morte by Simon Scarrow

autore:Simon Scarrow [Scarrow, Simon]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


CAPITOLO VENTITRÉ

Poco prima del tramonto si accamparono nei pressi di un ruscello con il fondo di ciottoli che gorgogliava lungo il margine della foresta dove l’indomani avrebbe avuto luogo la caccia. Il sole basso nel cielo appariva enorme contro l’orizzonte, mentre gli ultimi raggi tingevano di arancione e di rosso la parte inferiore di alcune piccole nuvole. Ombre scure si allungavano sull’erba che cresceva sulle rive del ruscello, dove venivano a pascolare le pecore di una vicina fattoria sfuggita alle attenzioni dei Durotrigi. Le capanne con il tetto di paglia che la componevano erano circondate da una fragile palizzata e sorgevano a mezzo miglio di distanza dall’altra parte del corso d’acqua. Attraverso l’entrata della più grande si intravedeva la luce di un focolare, e un filo di fumo si levava nell’aria.

Osservando le grasse pecore, il re aveva deciso di cenare con montone arrosto. Il suo dispensiere personale aveva macellato l’esemplare migliore, e il corpo era stato squartato e infilzato sugli spiedi, pronto per essere arrostito sul fuoco che gli schiavi stavano accendendo. Quando le fiamme si spensero, i servi ammonticchiarono le braci e iniziarono ad arrostire la carcassa. Il grasso colava dalla carne gocciolando sui tizzoni ardenti, dove scoppiettava producendo brevi vampe rossastre accompagnate da pennacchi di fumo.

Il naso di Macrone fremette. «Che aroma! Hai mai sentito un profumo più appetitoso?»

«È il tuo stomaco a parlare», replicò Catone.

«Certo, ma dammi retta, annusa».

Al giovane non era mai particolarmente piaciuto l’odore della carne arrostita. Il gusto era ottimo, ma l’odore gli ricordava le pire funerarie.

«Mmm», continuò Macrone con aria sognante. «Posso quasi gustarne il sapore».

Ormai c’era tanto di quel fumo che i loro occhi cominciarono a lacrimare. Senza una parola, si alzarono per spostarsi in un punto vicino al ruscello. L’acqua era limpida, e Catone ne portò un po’ alle labbra con le mani a coppa e la bevve avidamente, fredda e rinfrescante dopo quella calda giornata a cavallo. Una giornata in cui aveva avuto molto tempo per pensare.

«Macrone, che cosa faremo per l’assassinio di Bedriaco?»

«Che possiamo fare? Quel dannato tribuno ha liberato l’unico sospetto. Scommetto che Artax sta ridendo di noi».

Macrone lanciò un’occhiata ai nobili, che dormivano per riprendersi dalla cavalcata prima del pasto serale. Solo alcuni erano svegli, tra cui Artax e Tincommio, intenti a parlare a bassa voce sorseggiando birra da corni laminati d’oro. Il vecchio Verica aveva sentito il bisogno di un sonnellino e russava a bocca aperta con la testa posata su un cuscino di pelle d’agnello. Intorno a lui erano accovacciate le guardie del corpo, ben sveglie e con le armi a portata di mano.

Macrone riportò lo sguardo su Artax, mentre Catone proseguiva in tono sommesso: «La domanda è: perché ha lasciato morire Bedriaco in quel modo?»

«Di solito, una buona pugnalata può bastare». Macrone sbadigliò. «Potrebbe aver provato con il tuo metodo, naturalmente, discutendo con lui e poi colpendolo a morte».

Catone ignorò l’esca. «È proprio questo il punto».

L’amico sospirò. «Non so perché, ma ero sicuro che te ne saresti venuto fuori con qualcosa del genere. Avanti, allora, dimmi qual è il problema».



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